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Fante Cavallo e Re

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E un po’ mi ritorna in mente quel Canto notturno di un pastore errante per l’Asia, quando Leopardi invidia le pecore per la loro beatitudine nell’ignoranza. Nel non sapere cosa ancora spetti loro.

Da bambini siamo un po’ come quelle pecorelle. Ci facciamo domande per il semplice gusto di farcele, non tanto per avere la risposta. Siamo mossi dalla voglia di esplorare più che di conoscere e basta. E, se nel frattempo qualcosa non si capisce, fa nulla: il mistero non suona poi così male. Si ripetono parole sentite da altri (e “guai se ci sono parolacce!”) e le filastrocche più belle sono quelle musicali e con meno significato.

Quante volte canticchiavo, per esempio, “UNO DUE E TRE: FANTE CAVALLO E RE!”. Tutt’oggi il senso della rima mi sfugge però il mistero non mi soddisfa più. Da adulti il desiderio di capire primeggia e le domande arrivano quasi sempre ad essere odiate. Più un punto interrogativo è grande più procura angoscia: “e se non so come rispondere?”, “cosa faccio adesso?”, “chi decide cosa?”. Soprattutto nella relazione, quando accade qualcosa di cui non si comprendono le cause, c’è quel rischio di ansia confusionale per tutte le domande che non hanno risposta. O che hanno risposta multipla. Che, tanto, c’è poca differenza tra il non rispondere affatto e il dare più alternative di scelta: una risposta unica, comunque, non c’è.

Se ripenso al “fante-cavallo-e-re” mi vengono in mente gli scacchi. Non sono mai stata brava a giocarci, probabilmente perché nel sentimento la tattica non mi riesce un granché bene. C’è chi è un maestro nel mantenere lucidità, anche nella passione. Invece, il mio sentimento si muove sulla scacchiera senza strategia e sgarra persino le regole, qualche volta: è fatto così.

Il re è il pezzo più importante del gioco e, come si fa per tutte le cose che contano, è quello che si protegge di più. Se l’avversario mangia il tuo re, la partita si chiude. In amore vale un po’ lo stesso. E’ dura ma anche facile ricevere uno scacco matto: il cuore si difende come il re ma si espone, in un ritmo altalenante, alle pedine dell’altro. E occorre stare attenti, quel po’ che basta, a non farselo mangiare. Poi c’è il cavallo, lui si che trotta! Insieme all’alfiere è il pezzo più leggero del gioco, valido per le mosse di attacco, perché di agilità se ne intende bene. Come fa il pensiero che in amore sa come infierire, quando ci si mette.

Infine, arriva il pezzo meno importante di tutti, quello che “se c’è o non c’è fa lo stesso”: il fante, o pedone. E’ talmente poco strutturato e debole che i suoi spostamenti non vengono neanche chiamati “mosse” ma “spinte”. Nella scacchiera i fanti sono tanti, come i fantasmi nella relazione: paure, timori e vecchie idee che riecheggiano. Quando compaiono non danno alcuna spiegazione e sembra che il loro arrivo non abbia senso, lì per lì. Eppure un significato ce l’ha.

“Uno due e tre: fante cavallo e re…”. Continuerei così: “Un senso qui non c’è: è là che aspetta te”. Le risposte migliori si ottengono quando si è in movimento. Muoviamoci su. Non si è mai troppo adulti per ritirarsi dal gioco.

Lucrezia Holly Paci

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